vigne a Pompei

Pompei: vini e territori sorprendenti.

Dopo il dramma

La ricca città di Pompei si fermò di colpo il 24 agosto del 79 d.C., quando il Vesuvio eruttò e cominciò a sputare cenere e gas, devastando anche le vigne, il cui vino era molto gradito alla corte imperiale. Impiantata dai Greci, la tradizione viticola della zona era già molto antica e gli affreschi ritrovati durante gli scavi ci fanno capire quanto spazio veniva dato alle vigne sui versanti del Vesuvio. Frutta, verdure e cereali venivano si coltivavano in pianura, perché come dice il proverbio romano “a Bacco piacciono le colline”.

Gli archeologi hanno ricavato calchi di gesso di ceppi, radici e paletti, grazie agli “stampi” creati dalla coltre di cenere compattata.

Siccome la terra era rara nelle zone urbane, i proprietari pompeiani sfruttavano al massimo quella disponibile. Le viti erano piantate in filari ravvicinati nella ricca terra basaltica, creando una fitta vegetazione, la cui ombra limitava la crescita delle erbacce, e quindi riduceva il lavoro di diserbaggio. La vigna beneficiava così di tutte le riserve minerali e idriche del sottosuolo e gli schiavi lavoravano all’ombra. L’altezza del pergolato proteggeva i grappoli dai predatori terrestri, mentre le foglie fitte li sottraevano agli attacchi degli uccelli. Gli ingegnosi romani ottimizzavano in questo modo il rendimento della terra e della manodopera.

Il sistema di vite a pergolato non è l’unico metodo praticato nell’antichità per coltivare la vigna. Plinio e l’agronomo Columella ne citano altri cinque: la “copertura” del suolo con i rami; ad alberello; il “fuso” o il cordone verticale su tutore; a “spalliera” cordone orizzontale tenuto da paletti, con un ramo diritto che sostituisce il fil di ferro delle vigne palizzate; la vigna “maritata”, che cresceva come una liana su un albero, che si trovava vicino Napoli con il ceppo “asprinio”.

Viticoltori eccellenti, i romani adattavano la tecnica di coltivazione della vite ai vari climi e terreni.

Oggi, nel cuore della città storica, il produttore Mastroberardino ha piantato un ettaro e mezzo di ceppi rossi locali (piedirosso, aglianico e sciascinoso) vicino a quelli antichi descritti da Plinio e raffigurati sugli affreschi. Uniche concessioni moderne sono i piedi innestati su ceppi americani, per timore della fillossera.

A proposito di Mastroberardino , ricordate la degustazione del vino “Villa dei Misteri“? Questo dimostra che un vigneto può essere oggetto di ricerche e il vino un patrimonio culturale.

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