
Cina: i vini del deserto del Gobi.
Tenacia e dedizione.
La Cina occidentale, alla frontiera della Mongolia, non è assolutamente un luogo per coltivare la vite. Situato a più di 2500 km dal mare, è il territorio più continentale del mondo: in inverno le temperature scendono anche a -20 gradi e i piedi di vite si gelano completamente.
Questi ostacoli però non scoraggiano assolutamente i cinesi: nel 1949, quando Pechino ha annesso il Turkestan, territorio due volte più vasto della Francia, un antico sistema di irrigazione portava l’acqua dalle montagne Tian Shan verso le oasi della strada della Seta. Gli Uiguri coltivavano le vigne da secoli per produrre uva passa.
Pechino ha chiamato questa regione Xinjiang (nuova frontiera), e ha deciso nel 1980 di piantare migliaia di vitigni occidentali (cabernet sauvignon, syrah, merlot, chardonnay, chenin blanc, riesling) insieme ad altre varietà locali (beichun, cibayi). Nell’est della Cina, i terreni sono carissimi e notevolmente inquinati dalle zone industriali, dalle strade e dall’urbanizzazione, quindi non adatti a coltivare la vite.
Per far crescere la vite nel deserto, i fossati tra i filari vengono inondati da sei a dieci volte l’anno. “Qui niente pioggia, quindi niente malattie, niente trattamenti al rame né allo zolfo” afferma Grègory Michel, che dirige la coltura biologica in una parte della tenuta Loulan. Su una superficie simile a quella europea, la tenuta di 90 ettari produce uno strano vitigno locale, il rou ding xiang moscato, vinificato in dolce naturale, molto apprezzato dai giapponesi. Le bottiglie vengono vendute a circa 150 euro l’una.
Come proteggere i piedi delle piante dal gelo? Le sere d’inverno, i coltivatori dello Xinjiang, coprono le serre delle verdure con piumoni molto spessi e, in alcune zone, si avvolgono le viti nelle coperte. Nel deserto del Gobi, appena terminata la vendemmia, a settembre, i contadini potano immediatamente, piegano i ceppi nei solchi e li coprono di terra che li protegge. A fine ottobre si taglia tutto ciò che sporge dalla terra. Su decine di migliaia di ettari rimane solo una distesa di terra disseminata di paletti. In primavera i braccianti arrivano a sterrare i ceppi, a palizzarli di nuovo, e così la vegetazione riparte, sempre sotto la minaccia del gelo tardivo.
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