
Alla scoperta dei vitigni: il Negroamaro.
Il progresso pugliese.
Negli Annali di Viticoltura ed Enologia del 1872, il negroamaro è descritto come un vitigno caratterizzato da un “eccesso di materia colorante, alcolico e dotato di aroma speciale”. E’ una descrizione alla quale ci sarebbe poco da aggiungere, a parte mettersi d’accordo su quanta materia colorante costituisca un “eccesso” e quanta invece una desiderabile caratteristica. Fatto sta che, come fa intuire il nome, di colore il negroamaro ne ha da vendere. Anzi, più che suggerire, secondo alcuni il nome afferma e ribadisce, perché la seconda parte non descriverebbe il gusto, ma sarebbe la ripetizione della prima, dal greco antico “mavros” che significa “nero”.
Per molto tempo, come per tanti altri vini pugliesi, il colore e l’alcol di cui è capace il negroamaro sono stati infatti “prestati” a vini settentrionali famosi, eleganti, ma un po’ troppo deboli. Insomma, anche questo vitigno ha vissuto gran parte della sua esistenza come fonte di umili vini da taglio.
Quando le moderne tecniche di coltivazione in vigna e di vinificazione in cantina gli hanno dato modo di esprimere la sua prorompente personalità in maniera più equilibrata ed armonica, il negroamaro ha cominciato ad essere vinificato in purezza diventando uno degli emblemi della rinascita vitivinicola pugliese.
Oggi i vini da uve negroamaro tutto sono fuorché “amari”. Spesso si tratta di vini dal profumo delicatamente fruttato, dal gusto fresco e di ottima bevibilità. Dato che proprio il negroamaro è il vitigno base di gran parte degli ottimi rosati pugliesi, a volte il nero bluastro degli acini si rivela capace di generare vini che brillano con sfumature rosa di insospettabile luminosità.
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